Nicola Damiani

Tipologia Fondo
Data cronica
1933 - 2008
Inventario dell'archivio di Nicola Damiani
Inventario dell'archivio di Nicola Damiani

Tipologia

Fondo

Contenuto

L'archivio conserva documenti significativi per la ricostruzione dell'attività politica di Nicola Damiani, in particolare per quanto riguarda la sua esperienza di sindaco e quella di consigliere della Cassa per il Mezzogiorno: carteggi, documenti di elaborazione politica e tecnica, materiale di propaganda, fotografie. Ma è significativa soprattutto la presenza di una grande quantità di suoi appunti o scritti, vergati con una grafia di non semplice interpretazione su fogli di eterogenea provenienza (piccoli bloc notes, pagine di agende o agendine, ricettari, buste riciclate, segnalibri): si tratta di testi di brevi articoli o, meglio, tracce per essi, note di lettura di saggi storici, scalette (più o meno articolate) per discorsi. L'argomento prevalente è la politica, ma sono presenti anche documenti di carattere religioso. Questi documenti non sono stati inventariati analiticamente, ma chi li consultasse li troverà ordinati con la segnalazione (laddove è stato possibile individuarli) dell'occasione o dell'argomento trattato.

Consistenza rilevata

Consistenza (testo libero)
fascicoli 36 (in buste 5)

Storia istituzionale/Biografia

Nicola Damiani nacque a Bari il 23 aprile 1921. La famiglia di commercianti era originaria di Bitonto, città dove mantenne sempre stretti rapporti con la popolazione e il clero locale. 
Iscritto alla Facoltà di medicina dell'Università di Bari, frequentò la gioventù cattolica e conobbe Aldo Moro. La rigorosa scuola dell'Azione cattolica e della FUCI, cui si iscrisse nel 1940, lo formarono all'etica della responsabilità e del servizio. Fu studente di doti superiori, provetto nuotatore, imparò privatamente la lingua tedesca (probabilmente per intessere rapporti scientifici con l'ambiente medico nell'alleata Germania), cosa che lo favorì nell'accesso all'internato di facoltà. Nel 1942 venne chiamato alle armi e inviato sul fronte russo dove operò nei reparti sanitari. Tornato a Bari con un treno ospedale, riprese i contatti con l'ambiente universitario cattolico. Partecipò, dando anche il suo contributo di laureando medico nell'assistenza ai colpiti, al corteo del 28 luglio 1943 che sfociò nell'eccidio di studenti e operai (20 morti e decine di feriti) per la violentissima e ingiustificata azione repressiva di un reparto dell'esercito. 
Precoce fu la sua militanza nelle file della Democrazia cristiana, cui si iscrisse nel 1944 e per la quale fu vivace organizzatore e propagandista (schierandosi per la Repubblica al referendum istituzionale), tanto da meritare il posto nella lista dei candidati al Consiglio comunale nelle elezioni del 24 novembre 1946. Ma non risultò eletto.
Laureato, divenne assistente del suo maestro Rodolfo Amprino ad Anatomia umana. Si iscrisse quindi alla specializzazione in Ostetricia e ginecologia, vinse alcune borse di studio che gli permisero di andare a New York alla Columbia University dove iniziò gli studi sul dosaggio degli ormoni. Specializzatosi nel 1951, ottenne nel febbraio 1955 la libera docenza in Clinica ostetrica e ginecologica. Nel 1962 divenne primario all'ospedale Di Venere di Carbonara, dove lavorò fino al termine della sua carriera professionale. Essa non è però documentata nelle carte dell'archivio, che contiene solo i documenti del suo impegno politico.
Dopo la partecipazione alla campagna elettorale del 18 aprile 1948, che affrontò schierandosi con l'ala dossettiana del partito, tra 1948 e 1949 fu in prima linea per portare ordine nella turbolenta situazione della DC di Terra di Bari: prima commissario straordinario della sezione cittadina (agosto 1948), poi del comitato provinciale (tra marzo e maggio 1949), partecipò come delegato al III congresso nazionale di Venezia, dove la linea di Dossetti soccombette a quella di De Gasperi. Il sodalizio spirituale e amicale con Aldo Moro e la rapida ascesa di questi ai vertici della politica nazionale ne fecero uno dei più fedeli interpreti della sua linea politica, almeno fino al 1959 quando il sodalizio si ruppe per qualche tempo, essendo Damiani fautore del dialogo con i socialisti, che Moro valutò inizialmente con estrema prudenza in contrapposizione a Fanfani. Quando Moro si mise alla testa della marcia di avvicinamento alla collaborazione governativa di centrosinistra, Damiani entrò decisamente nella corrente dorotea rimanendo sempre vicino a Moro anche quando quest'ultimo si rese autonomo per poi uscire dalla corrente alla fine degli anni Sessanta.
Dopo l'interruzione dei primi anni Cinquanta, per la cura degli studi di specializzazione, ritroviamo Damiani a metà del 1954 responsabile dell'organizzazione del partito in provincia, dove cercò di regolare la delicata questione del tesseramento. Partecipò come delegato al V congresso nazionale di Napoli.
Gli fu proprio già in questi tempi un approccio pedagogico che concepiva il partito come scuola di civiltà e democrazia nell'ambito dell'emancipazione sociale e culturale che doveva accompagnare il progresso economico incipiente, soprattutto fra le classi contadine. Fu figlio del periodo "eroico" della DC nel quale le migliori intelligenze della cultura cattolica si impegnarono in prima persona senza fare della politica una professione a tempo pieno. Fu da subito uno dei leader naturali della sua terra, stimato per i toni e lo spirito costruttivo, pur nella radicalità delle posizioni, specie nei confronti del comunismo. Ma il suo anticomunismo non fu di tipo viscerale (alcuni suoi commenti sul maccartismo lo confermano): vedeva nei consensi al PCI un ostacolo al formarsi in Italia di una democrazia dell'alternanza che non facesse della DC un partito "condannato a governare".
Nel maggio 1956 venne eletto al Consiglio comunale di Bari e nel luglio eletto sindaco come ripiego all'impossibilità per la DC di far convergere i voti degli altri gruppi sui suoi tre capilista (la DC aveva solo 16 consiglieri su 60). Damiani ha più volte raccontato l'aneddotica della sua elezione, avvenuta mentre lui era in viaggio di nozze. Al di là dell'episodio, è importante la dinamica dell'elezione in una città che veniva da una consiliatura dominata dallo schieramento di destra che aveva espresso il sindaco monarchico Francesco Chieco. Le elezioni avevano dato ai tre schieramenti (l'alleanza PCI-PSI, il centro democristiano e i suoi piccoli alleati, la destra) pari forza consiliare con leggera prevalenza della sinistra. Per evitare che fosse eletto un sindaco socialista, i missini furono disponibili a votare un candidato democristiano outsider. Ma Damiani, cosciente di guidare un monocolore minoritario, si emancipò dallo schieramento che lo aveva eletto cercando volta a volta i voti per far passare in Consiglio i provvedimenti della sua amministrazione. Il suo posizionamento nella sinistra democristiana, il suo stile e l'unanime rispetto che riscuoteva fecero in modo che in alcune occasioni i socialisti votassero a favore delle delibere della sua giunta. Questa sofferta apertura socialista, che è stata giudicata come una esperienza antesignana di accordi che matureranno alcuni anni dopo, divenne ancora più problematica dopo l'invasione militare sovietica dell'Ungheria (primi di novembre 1956) e mobilitò il gruppo comunista, capeggiato da Mario Assennato, nel rinsaldare il fronte delle sinistre. Quando nel marzo 1957, dovendosi sostituire un assessore dimissionario per ragioni di salute, venne eletto (con i voti missini) Leonardo Cillo, un esponente moderato del gruppo socialista, la Democrazia cristiana costrinse Damiani alle dimissioni non potendo accettare un centrosinistra di fatto che presupponeva accordi politici di ben più vasta portata. I nove mesi della sua sindacatura sono ben documentati nelle carte dell'archivio, alla cui descrizione si rimanda (compreso il corredo fotografico). In seguito, prima le elezioni amministrative del 1959 (con la episodica esperienza della giunta di sinistra capeggiata dal socialista Giuseppe Papalia) e poi quelle del 1962 stabilizzarono il governo municipale barese con il consolidamento elettorale democristiano a scapito delle destre e l'accordo con un forte PSI.
Dopo le dimissioni da sindaco Damiani continuò ad affiancare alla vita professionale (l'insegnamento all'Università di Bari e l'attività ospedaliera) quella politica come semplice consigliere comunale. Nel maggio 1959 ottenne la carica più rilevante della sua azione di politico/intellettuale a favore della sua regione e del Sud: entrò infatti nel Consiglio di amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno, esplicitamente in "quota DC pugliese". Questa legittimazione politica gli fu sempre presente, ma la sua azione fu stimata anche da quel ceto tecnico di eccellenza che caratterizzò l'esperienza della Cassa. Dopo pochi mesi dall'insediamento, presentò le sue dimissioni in seguito all'esito del VII congresso nazionale della DC nel corso del quale egli, favorevole alla linea di Fanfani e in dissenso con Moro riguardo ai modi e ai tempi dell'apertura ai socialisti, ricevette una censura da parte dello stesso Moro alla sua candidatura al Consiglio nazionale DC in rappresentanza della Puglia. Essendo stato evidentemente Moro il mentore della sua nomina alla Cassa per il Mezzogiorno, Damiani presentò le sue "irrevocabili" dimissioni al presidente Gabriele Pescatore e al ministro Giulio Pastore. Ma essi lo convinsero a desistere (non si hanno notizie sull'atteggiamento di Moro al riguardo), il che rese più autonoma dalla politica la sua azione di consigliere, stimatissimo da Pescatore che lo incaricò già dal 1959 di rappresentare la Cassa nel Consiglio di amministrazione dell'ISVEIMER e, nel 1968, di presiedere il CIAPI (Centro interaziendale per l'addestramento professionale nell'industria). Sempre del 1959 è il suo scritto La provincia di Bari nell'economia nazionale (Bari, Laterza), frutto anche dei suoi contatti con il cosiddetto "Gruppo dei meridionalisti" di Vittore Fiore, con i quali condivise elaborazioni e proposte operative negli anni della Cassa e per il quale si veda il significativo Strategia del nuovo meridionalismo (Bari, Savarese, 1966).
Durante la sua lunga esperienza alla Cassa (che andrebbe indagata da vicino per capire la misura della sua rappresentanza pugliese), Damiani tentò di proseguire l'esperienza politica nelle file democristiane, sia come dirigente provinciale che come amministratore locale, oltre a un forte impegno pubblicistico sui periodici di partito. Nel novembre del 1960 fu eletto al Consiglio provinciale di Bari, ma non entrò nella giunta di Vitantonio Lozupone. Responsabile della DC barese dal 1961, nel giugno 1962 si dimise dal Consiglio provinciale perché rieletto in quello comunale. Pendendo su di lui un ricorso per ineleggibilità (essendo dipendente dell'Ospedale Di Venere, opera pia vigilata dal Comune), tentò nel novembre 1964 di farsi rieleggere in Consiglio provinciale nel collegio di Molfetta-Bitonto ma senza successo (probabilmente per il diffuso scontento degli olivicoltori che richiedevano sussidi dopo i danni provocati dalla mosca olearia). Nel gennaio 1965 la Corte d'Appello di Bari lo dichiarò ineleggibile al Consiglio comunale e decadde.
In quegli anni inizia a maturare il suo lento distacco dalla politica attiva in concomitanza con l'emergere di un personale politico nuovo. Come scrisse in una lettera di fine 1993 a Gaetano Quagliariello (la si trova in archivio al fascicolo 28):
"[...] col trascorrere del tempo dagli anni 60 in poi andavo avvertendo un profondo disagio, fattosi alla fine insopportabile. Man mano che la "nuova classe" di professionisti della politica (politicien) dilagava, cambiavano le regole del gioco. In modo subdolo, ma insistente e penetrante, la nomenklatura creava le condizioni per un divorzio consensuale tra i dilettanti, che non intendevano vivere di politica ma del loro lavoro, spesso gratificante, e chi di potere viveva e ingrassava, tutto corrompendo. [...] mi posi la domanda se era possibile fare politica fuori dai partiti o meglio senza i partiti [...]".
Nel 1969 uscì dal Comitato provinciale DC di Bari.
In ambito Cassa per il Mezzogiorno venne nominato nel novembre 1969 nel Consiglio di amministrazione dell'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania (poi Puglia, Lucania ed Irpinia), il cosiddetto Ente Irrigazione. Ma nel novembre 1971, rinnovandosi il Consiglio della Cassa ed applicandosi i nuovi criteri che davano ai Consigli regionali il potere di nomina di un certo numero di consiglieri, Damiani, ormai fuori dai giri politici, non venne riconfermato. Scrisse a Pescatore:
"è da tempo che desideravo tagliare questo ultimo ormeggio che mi legava alla vita pubblica. Sento il bisogno di ripensare a tutta questa mia esperienza, di rifare il punto [...]".
Damiani aveva allora cinquanta anni. Il presidente della Cassa insistette, con successo, perché rimanesse nei Consigli degli enti partecipati. Nell'agosto 1973 la Regione Puglia lo sostituì come presidente del CIAPI e infine nel luglio 1975 rimise nelle mani di Pescatore il suo incarico di consigliere nell'Ente Irrigazione. L'anno successivo finì l'era di Pescatore alla Cassa per il Mezzogiorno, definitivo commiato di una classe dirigente che aveva inventato l'intervento straordinario pubblico nel Mezzogiorno d'Italia.
Da quel momento si dedicò esclusivamente alla sua professione di ginecologo promuovendo gruppi di ricerca sul monitoraggio biofisico fetale e in genere dedicando i suoi studi al feto che egli ritenne di dover trattare "come un normale paziente". Coerentemente con questa impostazione si batté energicamente, con interventi pubblici, discorsi e articoli, contro l'introduzione nella legislazione italiana della interruzione volontaria della gravidanza e poi in favore del referendum abrogativo del 1978. Nello stesso anno l'uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse segnò per Damiani l'epilogo tragico di un rapporto umano e politico fondante della sua personalità.
Lontano dalla vita politica attiva, continuò a essere punto di riferimento in città per chi voleva riflettere sulle ragioni dell'impegno civile e i limiti strutturali che la "società dei partiti" poneva a tale impegno. Appuntò la sua attenzione sul filone democratico antipartitico, stimolato dal saggio di Simone Weil del 1943 Nota sulla soppressione dei partiti politici che egli lesse intorno al 1990, subito prima del "diluvio" di Tangentopoli. In archivio sono conservati alcuni suoi elaborati su questa tematica. Nel 1990 partecipò al tentativo di organizzazione di un "collegamento tra cattolici" dando anche indicazione di voto per alcuni candidati alle elezioni amministrative. 
Mantenne sempre stretti contatti col suo ambiente "fucino" frequentando da protagonista diverse occasioni di incontri organizzati per tenere vivo un certo modo di intendere la comunione di intenti e la condivisione delle idealità. Gli ultimi anni sono stati dedicati alla testimonianza di quanto pensato e realizzato e al riconoscimento pubblico delle figure dei maestri, De Gasperi e Moro, anche con diversi articoli sulla «Gazzetta del Mezzogiorno». Nel 2008 ha collaborato alla sceneggiatura di un cortometraggio sugli anni universitari di Aldo Moro, Una passeggiata invernale, poi non realizzato.
Nicola Damiani è morto a Bari il 13 dicembre 2009.

Modalità di acquisizione

L'archivio è stato donato alla Fondazione Giuseppe Di Vagno (1889-1921) dagli eredi di Damiani nel 2012.

Strumenti di ricerca

Inventario a cura di Leonardo Musci (2014). Lo strumento è stato realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia nell'ambito del progetto "Memoria democratica - Archivio della Fondazione Giuseppe Di Vagno". L'incarico è stato affidato alla società Memoria di Roma.

Criteri di ordinamento

Nonostante l'esiguità della documentazione si è ritenuto opportuno suddividerla in gruppi seguendo la biografia pubblica del soggetto produttore.

Consultabilità

Libera nei limiti di quanto disposto dal Codice per i beni culturali e del paesaggio (art. 127) e dalla legislazione per la tutela del diritto alla riservatezza e all'identità personale.

Fonti collegate

Per lo studio della biografia politica di Nicola Damiani segnaliamo due fonti archivistiche di primaria importanza: l'archivio del Comitato provinciale di Bari della Democrazia cristiana (conservato presso l'Istituto Luigi Sturzo di Roma) e la serie delle delibere del Consiglio di amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno (conservata dall'Archivio centrale dello Stato).

Persona

Ente

Evento