Scionti, Renato

Tipologia Persona

Date di esistenza

Luogo di nascita
Firenze
Data di nascita
15/09/1909
Luogo di morte
Bari
Data di morte
29/07/1985

Attività e/o professione

Qualifica
docente liceale
Qualifica
saggista
Qualifica
politico

Biografia / Storia

Renato Scionti nasce a Firenze il 15 settembre del 1909 e muore a Bari il 29 luglio 1985.

Figlio di genitori siciliani, la sua formazione culturale nei primi anni è profondamente influenzata dalla figura paterna. Dopo aver trascorso alcuni anni della sua infanzia e adolescenza a Firenze (“nella mia adolescenza durante i quattro anni che avevo trascorso nell’Ospizio per orfani Salvi cristiani, che dipendeva dalla Congregazione di carità della Prefettura di Firenze, il direttore dell’Ospizio, un laico e non fascista, mi mise a lavorare in una officina meccanica di proprietà dell’Ospizio … Nell’officina vi erano, oltre al padrone…due operai…da quei due operai ebbi le prime notizie della lotta operaia. Ricordo che in quel periodo venne assassinato Giacomo Matteotti e i quartieri popolari di Firenze, come San Frediano, ribollivano di rivolta… [Il direttore dell’ospizio] dopo un anno di lavoro nell’officina era d’accordo con mio padre di tornare a mandarmi a scuola, dapprima con l’intento di farmi prendere la licenza della sesta elementare, successivamente per riprendere i miei studi al ginnasio che avevo abbandonato al terzo anno quando mio padre mi aveva messo all’ospizio”), segue la famiglia a Roma e poi a Cernobbio.

A Roma, intorno agli anni 1927-1929, mentre è iscritto al liceo classico Visconti, frequenta la villetta del prof. Ernesto Buonaiuti, presbitero, storico, antifascista, figura di grande cultura e umanità. Comincia a maturare interessi a livello politico, anche se il discorso politico, allora, era più sottinteso che diretto. “La mia posizione si andava definendo sempre più in termini di negazione dei dogmi, anche di quelli che sopravvivono nelle chiese protestanti…anzi, influenzato da Spinoza e dai materialisti francesi, negavo apertamente la possibilità di una realtà soprannaturale e personificata. Sul piano politico il discorso invece non andava oltre un vago e generico antifascismo”.

Dal 1933 al 1936 a Roma, durante la degenza “nel sanitario prima Cesare Battisti e poi Forlanini”, conosce Luigi Pepe ed altri che poi ritrova nel Partito negli anni ’40. È l’epoca di Giuseppe Bottai e a casa del Pepe si discute se convenisse o meno condurre la lotta dentro o fuori dal partito fascista e dalle sue organizzazioni.

Dopo la degenza, nel luglio 1937 lascia Roma e si trasferisce a Cernobbio con la sua seconda madre Eugenia. Trova lavoro a Como come impiegato presso l’ufficio del commendatore Luchini, rappresentante delle Cartiere Burgo per le province di Come e Varese. In tutto il periodo impiegato in questo lavoro, circa quattro, ha la possibilità di conoscere le realtà lavorative di commercianti, tipografi, fabbriche di prodotti vari dove si discute prevalentemente di problematiche economiche. I suoi interessi, però, non sono per il commercio e l’economia, piuttosto verso i problemi storico-sociali e religiosi. Lui preferisce studiare e acquistare libri. Infatti, mentre lavora come impiegato, studia Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Roma dove si laurea nel 1939 con una tesi in diritto ecclesiastico.

Nel 1937-38 ha frequentato spesso la casa di Ezio Chicchiarelli (professore di filosofia, organizza a Como un gruppo liberalsocialista, motivo per il quale viene arrestato e recluso nel carcere di Bari e sospeso dall’insegnamento. Tornato in libertà, negli anni 40-41 viene in contatto con il gruppo di antifascisti di Bari tra i quali, oltre ai Laterza presso i quali aveva pubblicato un suo libro, Benedetto Croce, Tommaso Fiore, Ernesto De Martino, Guido Calogero ed altri. Prende parte alla resistenza, aderisce al Partito d’Azione e partecipa alla redazione del suo programma politico; allo scioglimento del PdA, si iscrive al Partito comunista italiano) insieme ad altri giovani. È qui che quegli interessi che lo avevano animato nel periodo romano maturano in più precisi orientamenti politici, anche se coesistono con interessi ai problemi religiosi intrecciati a quelli filosofici a sfondo idealistico. (Importante, anche se meno significativa, è la frequentazione a Milano della casa dell’avvocato Gilberto Gilioli, suo cugino. Gilberto Gilioli, scrittore e antifascista italiano, è stato in contatto con gli ambienti degli intellettuali socialisti della città di Milano e in particolare con Lelio Basso e Remo Fedi. Nel 1939 viene costretto al confino a Colfiorito insieme con altri antifascisti, tra cui lo stesso Basso).

La situazione politica si va deteriorando, si affaccia la minaccia della guerra e Scionti, grazie alla frequentazione di questo piccolo gruppo di intellettuali antifascisti, matura idee politiche e ideologiche e avverte l’esigenza di un confronto, consapevole che la sua esperienza e formazione politiche non sono ancora mature. Scionti ricorda che fino al 1944 non conosceva nemmeno l’esistenza di uomini come Gramsci e Togliatti; migliore era l’informazione su Lenin e la rivoluzione d’ottobre ma non sulle sue opere, mentre più nutrita era la conoscenza di Marx.

Negli incontri a casa di Chicchiarelli si discute molto della necessità di fare qualcosa, ma nel contempo Scionti riconosce che “il nodo della nostra debolezza stava nell’essere cresciuti nel periodo fascista, nel non conoscere alcunché dell’esistenza di partiti antifascisti e della loro azione e quindi nell’assoluto isolamento politico e nell’assenza non meno assoluta di punti di riferimento e di direttive nel quale il gruppo ci venivamo a trovare”. Anche se Como ha una tradizione socialista e di lotte operaie, al gruppo manca la conoscenza reale della resistenza clandestina in Italia e all’estero durante il fascismo, e, di conseguenza, la capacità di poter esprimere un reale contributo di azione. Il gruppo si incontra intorno a riflessioni politiche di tipo teorico, in particolare sul problema della retorica di Mussolini e del regime e della loro superficialità fatta di parata, sul crescente distacco tra consenso popolare e regime, sulle contraddizioni, le improvvisazioni e i conflitti anche interni che caratterizzano il regime.

La discussione sempre più viva e le prime letture alimentano di più la sua formazione politica. Nei primi degli anni ’40 legge il “Materialismo storico ed economia marxistica” di Benedetto Croce, “I fondamenti della filosofia del diritto, con aggiunti due studi sulla filosofia di Marx” di Giovanni Gentile, “In memoria del Manifesto dei comunisti” di Antonio Labriola, il “Manifesto del Partito comunista” di Marx ed Engels, la “Storia del liberalismo europeo” di Guido De Ruggero

 

Alla dichiarazione della II guerra mondiale, fatta da Mussolini il 10 giugno 1940, Scionti è ancora a Como e assiste all’annuncio ai margini di un angolo di strada nei pressi dell’ufficio dove lavora.

“Ci sono avvenimenti che rimangono impressi nella mente di un uomo per sempre con la stessa vivacità come se fossero accaduti il giorno precedente. Uno di questi avvenimenti è stato per me, e per moltissimi giovani della mia età, la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia e all’Inghilterra che porta la data del 10 giugno 1940. Mussolini l’annunciò alla folla radunata in Piazza Venezia a Roma con un discorso che fu radiotrasmesso in tutto il Paese…sentii, mentre lavoravo, la voce di Mussolini trasmessa a pieno volume dagli altoparlanti situati sul piazzale. Ebbi l’intuizione che vi dovesse essere qualche cosa di grave ed eccezionale nell’aria ed uscii per andare a sentire. Mi fermai all’angolo senza entrare nella piazza e compresi subito, dalle prime frasi scandite dagli altoparlanti, che Mussolini aveva rotto gli indugi”.

 

Fine maggio-primi di giugno del 1940 Scionti è a Roma per sostenere gli esami orali del concorso per l’insegnamento. Vincitore della cattedra di Storia e filosofia per i licei classici, entra in ruolo il 16 ottobre del 1940 e insegna al liceo classico Alessandro Volta di Como. Nella primavera del 1943 si ammala per le condizioni subite nei giorni della guerra e viene ricoverato all’Ospedale S. Anna di Como dove rimane fino a settembre del 1944, mantenendo sempre i contatti con il gruppo di amici ed Ezio Chichiarelli (nei giorni successivi al 25 luglio 1943 il gruppo assume la forma più precisa del Partito d’Azione).

Uscito dall’ospedale, decide di occuparsi di attività politica nel tempo libero dall’insegnamento. Mostra subito la sua inclinazione per il partito comunista, al quale aderisce poichè sembrava incarnare meglio gli ideali di uguaglianza e insieme di razionalità. “Vedevo nel comunismo un disegno strategico di grande respiro e un fondamento ideologico frutto di una lunga tradizione culturale e maturata con le analisi di Marx ed Engels… Non nascondo, a distanza di tanti anni, che allora, in questa mia scelta, operò in me, in maniera più o meno consapevole, anche il fascino dell’eroismo dell’armata rossa e dei popoli dell’Unione sovietica che erano riusciti a sconfiggere l’arroganza e il prepotere di Hitler. D’altronde a determinare certe scelte in quel periodo ci pensava, senza volerlo, anche la propaganda nazi-fascista che etichettava con il termine di «comunista» qualsiasi antifascista che combatteva per la libertà”.

In quell’anno, grazie all’amico Chichiarelli che gli fa conoscere il libraio Giuseppe Marino, vecchio compagno comunista, conosce Dante Gorreri, il segretario politico del partito comunista a Como, che diviene il suo primo maestro. Grazie a lui legge il ciclostilato “Il che fare” e “L’estremismo, malattia infantile” di Lenin, legge “L’Unità” clandestina e copie ciclostilate di appelli del movimento clandestino di liberazione nazionale CLNAI, di cui presto conosce la struttura organizzativa, al quale si erano collegati i CNL provinciali e il PCI lavora per organizzare in ogni comune e nei posti di lavoro (fabbriche, scuole, uffici) dei CNL locali. Cominciano le prime esperienze di vita politica clandestina, limitate comunque agli incontri con Gorreri e la diffusione di materiale stampato e ciclostilato di propaganda che lo stesso Gorreri gli consegna; formalmente è una persona insospettabile, insegnando in un liceo statale e vivendo tra i libri in un piccolo appartamento situato nella depandance del Grand’Hotel Villa D’Este a Cernobbio. Scionti assume il nome di battaglia di Enrico, anche se in un piccolo centro come Como è conosciuto con il suo vero nome e cognome. “Io avevo, anche per deformazione professionale, l’abitudine di conservare una copia del materiale stampato e privo di nomi che mi veniva consegnato per la diffusione. Era una azione imprudente che cercavo di limitare, ma alla quale non riuscivo a sfuggire. Alla fine del 1944 nella mia abitazione era collezionata una certa quantità di questo materiale propagandistico e di copie di documenti stampati alla macchina o dattiloscritti riproducenti deliberazioni del CLNAI e istruzioni del CVL e dei CNL, sempre senza nomi o indicazioni che potevano rappresentare un pericolo per altri…qualcuno aveva notato un certo movimento di persone che mi frequentavano…bruciai subito con dolore gran parte del materiale compromettente che conservavo in casa, portai il materiale che era indispensabile conservare fuori della mia abitazione in un luogo sicuro e avvertii Gorreri. Per qualche mese la mia abitazione fu interdetta alle riunioni dei compagni”.

Il primo incarico politico qualificato, e il primo contatto ufficiale con gli altri partiti antifascisti che partecipano alla lotta di liberazione nazionale, lo ottiene nel gennaio del 1945 quando accetta di rappresentare il PCI nel CLN provinciale (nello stesso periodo, ebbe anche l’incarico di scrivere un articolo sul ruolo degli intellettuali nella lotta di liberazione nazionale). Quando nel mese di aprile la situazione militare precipita, il CLN di Como è quasi quotidianamente riunito. Alla riunione del 25 a lui viene affidato l’incarico di organizzare e gestire lo sciopero dei mezzi di trasporto e della scuola per il giorno successivo a Como. Nello stesso periodo viene indicato dal CLN componente della ricostituenda Deputazione provinciale, incarico che mantenne per pochi mesi……….

Con la liberazione, l’ex casa del fascio di Como, ribattezzata “Casa del popolo” viene occupata dai partiti del CLN e il partito comunista prende l’ultimo piano.

Il primo maggio si svolge la manifestazione in piazza del Duomo a Como, gremita di folla, e dal balcone del Broletto, palazzo del comune, tengono i loro discorsi Battista Tettamanti, segretario della camera confederale del lavoro della provincia di Como, e i rappresentanti dei partiti del CLN. Per il PCI, a sua insaputa, viene chiesto a Scionti di tenere il discorso. “Parlai per circa dieci minuti, rievocando i martiri, i sacrifici della guerra di liberazione nazionale e il significato che per tutti noi aveva avuto la Resistenza. Non possiamo limitarci, dissi allora, al rispristino delle libertà formali, dobbiamo aprire uno spazio nuovo perché i lavoratori diventino protagonisti del loro destino e artefici, insieme alle altre forze democratiche e agli intellettuali, di un reale e profondo rinnovamento del Paese; oggi si celebra la festa del lavoro e in questa occasione, conclusi, i lavoratori rinnovano il loro impegno di lotta perché il fascismo non torni più nel nostro paese e perché sia costruita una società più giusta. Poche parole e molti applausi. E non poteva essere diversamente in un momento così esaltante e denso di emozione come fu quel 1° maggio 1945”.

Nel maggio dello stesso anno Scionti partecipa insieme a Dante Gorreri all’assemblea dei dirigenti di tutte le federazioni del Nord del partito comunista. Lì ha modo di vedere e ascoltare per la prima volta Palmiro Togliatti.

Nel frattempo, nei mesi successivi, il CLN cerca di darsi una struttura: affiora immediatamente la necessità di costituire, almeno nelle fabbriche più importanti, un CLN aziendale accanto a quelli già costituiti nei centri urbani. È una forma nuova di democrazia che fa leva su una centralità del mondo del lavoro. Il CLN provinciale affida a Scionti l’incarico di curare la formazione di questi comitati di liberazione aziendali. Ma la situazione, compresa quella dei CLN, si va rapidamente deteriorando.

A Scionti, a pochi mesi dalla liberazione, viene tolto l’incarico di componente della deputazione provinciale perché, ufficialmente, secondo la vecchia legge, gli impiegati dello Stato non potevano ricoprire cariche elettive, in realtà perché piano piano si va facendo strada un ritorno al vecchio ordine istituzionale-amministrativo del periodo fascista col tramonto delle aspettative di un ruolo nuovo di rinnovamento guidato dai CLN. Uno spazio per i CLN è stato offerto dal quotidiano comasco “Il popolo comasco”, nato dal vecchio quotidiano “La Provincia”, passato sotto il controllo del CLN provinciale dopo essersi posto al servizio del nazi-fascismo. Scionti assume la direzione del quotidiano e scrive anche articoli, firmandoli con il suo nome e con altri due di fantasia. Poco dopo la testata del giornale cambia nome e viene chiamata “La voce di Como”.

Nello stesso periodo la federazione del PCI di Como decide di pubblicare un giornale settimanale e affida a lui la direzione. Il fatto non è stato casuale perché, oltre ad avere acquisito pratica giornalistica e anche tipografica con “Il popolo comasco”, nel periodo clandestino ha assolto al compito di responsabile della stampa e propaganda. Riprende così la pubblicazione della testata del PCI “La Comune” come settimanale della federazione comasca del PCI.

Tutta l’attenzione di Scionti e dei compagni di partito è rivolta a costruire un partito forte, anche perchè si avvicinavano le elezioni per la Costituente e doveva emergere con chiarezza la forza reale. Tutto il lavoro si concentra sul Partito, sulle fabbriche, sulle cooperative di consumo, sul settimanale della Federazione per creare consenso diffuso e per rafforzare il Partito, ma si trascurano altri settori importanti della società. Si lavora nella direzione dell’organizzazione del Partito, della formazione di quadri e contemporaneamente per la preparazione del V congresso nazionale. Alla fine di dicembre la delegazione comunista della Federazione di Como parte per Roma per partecipare ai lavori del V congresso nazionale che si svolge dal 29 dicembre al 6 gennaio. Scionti è tra questi. Il nodo politico più importante che impegna il partito dal congresso e per tutta la primavera è quello della convocazione dell’Assemblea Costituente.

I mesi e l’anno successivi sono stati segnati dagli esiti delle elezioni per l’elezione dell’Assemblea costituente e dalla riorganizzazione del partito dopo la sconfitta, riorganizzazione della quale Scionti è protagonista. A Como serviva una direzione del partito più legata ai ceti medi, agli operai, ai contadini, una direzione capace di una mediazione politica.

Scionti, nel fare un bilancio degli 11 anni trascorsi a Como afferma: “nel periodo della liberazione e nei mesi successivi, che segnarono la costruzione dei primi embrioni del Partito, ero stato attivissimo, avevo girato per i più sperduti casolari della provincia, avevo fatto migliaia di comizi, di conferenze, di assemblee, di dibattiti, di contraddittori con gli oratori degli altri partiti, avevo partecipato per mesi gomito a gomito con i dirigenti degli altri partiti nel CLN e nella Deputazione provinciale. Avevo diretto, di fatto, per mesi il «Popolo comasco», quotidiano del CLN provinciale. Mi ero scontrato in una assemblea tumultuosa di pubblici dipendenti sul problema dell’epurazione per coloro che avevano giurato fedeltà alla repubblichetta di Salò e avevo cercato una mediazione scrivendo un articolo dal titolo «Mani tese». Avevo partecipato, dove non arrivava ancora il sindacato a lotte in alcune fabbriche della provincia. In altre parole ero quasi certamente in quei mesi il compagno più conosciuto dentro e fuori dal Partito a Como e in provincia. I compagni della segreteria e del Comitato federale guardavano a me come al nuovo dirigente della Federazione”.


Nel 1948 viene trasferito a Bari dove, sino al 1980, insegna presso il Liceo Classico Statale “Orazio Flacco”. A Bari l'attività di docente torna ad intrecciarsi strettamente col lavoro di partito e quella d'animatore politico culturale. E' stato sin dall'inizio degli anni '50 dirigente della Federazione barese del PCI; dal 1956 al 1971 fu consigliere comunale a Bari e tra il 1959 ed il 1960 fu vice sindaco nella giunta di Giuseppe Papalia.
Negli anni '60 fondò la sezione pugliese dell'Associazione ricreativa culturale italiana (ARCI); nell'aprile del 1970 contribuì alla nascita dell'Istituto pugliese per la storia dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea (IPSAIC); negli anni '70 la Sezione pugliese dell'Istituto Gramsci, di cui divenne presidente. Molte delle più importanti battaglie, in terra di Bari e su scala nazionale, per il lavoro, la casa, la scuola, il Mezzogiorno sono legate al suo nome.
Deputato al Parlamento nella IV e V legislatura, dal 1963 al 1972, fu sempre impegnato nella Commissione Pubblica Istruzione.
è stato membro del Comitato regionale pugliese del Partito comunista, per molti anni presidente dell'Associazione Italia-URSS di Bari e componente della delegazione italiana nella Conferenza mondiale per il Vietnam (Roma, 22-24 febbraio 1970).
L'attività pubblicistica è stata importante nella sua vita, quasi il corollario di un'intensa vita politica, e si è concentrata su saggi teorici di ambito marxista. Tra i temi culturali che lo hanno visto più attivo nella produzione politico-letteraria hanno assunto, in assoluto, maggiore rilevanza il rapporto tra scolarizzazione di massa e democrazia, la crisi delle ideologie e lo sviluppo della lotta per la pace.

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